Luca Sofri si chiede – legittimamente – perché alcuni dovrebbero avere il diritto di abbattere alcune statue ma non altre. E se invece le abbattessimo tutte?
Le statue, altrimenti, sarebbe proprio meglio non farle. Le vite di molte persone hanno cose nobili ed eccezionali che è giusto considerare tali e ammirare, ma lo si può fare tranquillamente e meglio senza statue: quelle persone non ne hanno bisogno – sono morte – e le statue servono in modesta parte a tramandare degli esempi e dei modelli in maniera sbrigativa ed efficace. Ovvero dire a tutti “questa cosa che questa persona ha fatto è una cosa buona, da imitare e prendere a modello”: allo stesso modo con cui lo può fare in maniera più approfondita e meno efficace un libro, un insegnamento scolastico, o la sua stessa opera palesemente ammirevole. Le statue sono una forma di informazione, ma straordinariamente superficiale e pigra. Sono anche una rivendicazione, un’esibizione di appartenenza, per alcuni: poter segnare un punto per quello che la statua rappresenta, spesso in contrapposizione ad altro – una conquista patriottica, una grandezza scientifica, una bravura letteraria – e che si condivide. Ma queste sono inclinazioni che sarebbe utile disincentivare invece che incentivare, quelle di usare ogni cosa per segnare un punto per sé e per il proprio apparato di espressioni di sé.
I giorni delle statue – Wittgenstein